“What if?”. “E se?” – di Cristiano Marzorati

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Ancora un libro su Ronie. “What if?”. “E se?”. È in questa breve domanda, che non conosce risposta e che, pertanto, viene lasciata volutamente in sospeso, sulla “spalla” del libro “Ronaldo – Il Fenomeno” (120 pagine, Hoepli editore 2020, € 15,00) di Gianluca Cedolin, la sintesi della carriera di un giocatore incompiuto, ancora oggi, dopo un decennio dalla sua ultima partita, in bilico tra l’essere il più grande di sempre e uno dei tanti che, per svariati motivi, ha raccolto molto meno di quanto avrebbe potuto.

La presentazione ha avuto luogo (ormai, con quello che sta accadendo, sembra un secolo fa…): giovedì 20/2 nel tardo pomeriggio presso la “Libreria dello Sport”, vero e proprio tempio della Letteratura sportiva milanese. Sì, proprio in contemporanea con la partita di andata di Coppa Uefa che vedeva l’Inter impegnata in trasferta contro il Ludogorets! Chiudiamo un occhio solo perché l’Autore è (ahimè!) milanista.

A precisa domanda del moderatore, Pierfrancesco Catucci, su cosa abbia spinto un tifoso rossonero a occuparsi di una delle più note icone del mondo neroazzurro, Cedolin risponde che inizialmente come protagonista della sua opera aveva pensato a Paolo Maldini, salvo poi rendersi conto che la carriera del primo “fenomeno” del Calcio moderno era già di per sé un’avventura, una metafora della vita, che andava solo raccontata fedelmente.

Come dargli torto?

Pensiamoci: Ronaldo è salito fin da giovanissimo agli onori della cronaca, scomodando paragoni nientemeno che con “O’ Rey” Pelé. Nel 1994, non ancora maggiorenne, venne convocato a furor di popolo nella Seleçao futura Campione del Mondo, e solo la conquista del titolo iridato salvò il C.T. Parreira dal linciaggio. Se non avesse portato a casa la Coppa, infatti, nessuno gli avrebbe perdonato di avere tenuto il ragazzino prodigio in panchina per tutti i 660 minuti del torneo.

Nonostante la vittoria vissuta da attore non protagonista, da quel momento per Ronaldo inizia una scalata che lo porta rapidamente a diventare non solo il migliore del mondo, ma anche il primo calciatore veramente “mediatico” della storia contemporanea. Nessun altro aveva mai vantato un videogioco creato appositamente per lui. Nessun altro aveva mai portato il suo sponsor personale (la Nike) al club in cui giocava. Nessun altro aveva mai posato per una campagna pubblicitaria ricordata da tutti a distanza di più di vent’anni. “La potenza è nulla senza controllo”, slogan che ha fatto la fortuna dei pneumatici Pirelli in tutto il mondo.

Ronaldo, però, abbiamo detto, è una metafora della vita e, come tale, ha conosciuto anche momenti bui.
Quattro anni dopo la “gita premio” negli Stati Uniti, rieccolo in maglia verde-oro a giocarsi un Campionato del Mondo. E questa volta titolare inamovibile. Talmente inamovibile che nemmeno il misterioso malore che lo ha colpito alla vigilia della Finalissima, mettendone a rischio la vita stessa, gli ha impedito di scendere in campo nell’ultimo atto della competizione.

I maligni affermano, forse con qualche ragione, che ci siano state pressioni di carattere commerciale da parte degli sponsor e dell’organizzazione; fatto sta che lui c’era, perché in quel momento bastava la sua sola presenza per infondere coraggio e fiducia a tutto l’ambiente.

Poi, gli infortuni al ginocchio che parevano avere scritto prematuramente la parola fine alla sua carriera; lo scudetto perso (con l’Inter) rocambolescamente all’ultima giornata il 5 maggio 2002 sul prato dell’Olimpico; il senso di impotenza sfogato in quella lacrime seduto in panchina mentre il sogno stava svanendo sul più bello; le incomprensioni con l’“Hombre Vertical” Hector Cuper, che portarono alla cessione al Real Madrid, tra la legittima contestazione del popolo interista che mai si sarebbe aspettato che fosse proprio l’uomo simbolo della squadra ad abbandonare la nave nel mare in tempesta.

Gli ultimi veri lampi della sua classe cristallina li ha regalati in quello che è stato il suo vero habitat: il Mondiale, quello asiatico del 2002, vinto da assoluto protagonista e capocannoniere con all’attivo 8 reti in 7 partite.

Gli anni trascorsi alla “Casa Blanca” come un Galactico tra i tanti (suoi compagni di squadra erano, tra gli altri: Zidane, Roberto Carlos, Figo, Beckham, Raul) gli hanno regalato l’unico Campionato della sua carriera, prima di tornare in Italia ormai sovrappeso e demotivato, con l’intento di infliggere un ulteriore sgarbo ai suoi ex tifosi indossando la maglia degli acerrimi rivali rossoneri.

Chissà, forse per qualche minuto ci ha anche creduto di essersi preso la sua rivincita realizzando la rete del momentaneo 1 a 0 in un derby poi vinto per 2 a 1 dall’Inter di Mancini, sempre più solitaria in vetta alla classifica. Quel giorno a firmare il goal decisivo ci pensò Ibrahimović, un altro che di “tradimenti” se ne intende ma che, a differenza di un ex fenomeno ormai diventato, a mio parere, “da baraccone”, ha sempre saputo caricarsi la squadra sulle spalle nei momenti di difficoltà, esaltandosi a scrivere il suo nome tra i protagonisti anziché essere solo uno della rosa.

Non possiamo, però, dimenticare le sue due reti nella Semifinale di Coppa Uefa 1998: Spartak Mosca-Inter 1 a 2. Coppa che, poi, venne vinta a Parigi, contro la Lazio.

Oggi del Genio di Malmoe, ormai 38enne, sappiamo quello che ha dato e quello che sta ancora dando; di Ronaldo Luiz Nazario da Lima, invece, ci resta quella domanda: “E se…?” Cosa avrebbe rappresentato per il Calcio mondiale il brasiliano se non fosse stato vittima di numerosi gravi infortuni e se non avesse sbagliato alcune scelte decisive per la sua carriera?

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