Alessandro Piccinini, per chi si ricordi, nella trasmissione “Controcampo”, è stato il miglior “damerino” (Ligabue userebbe un’altra espressione…) di Luciano Moggi: sempre sorridente e servizievole anche quando veniva detta la più grande bestialità. Indegno anche dei sudditi del “Re Nudo”. (1) Su molti giornalisti come lui scriveva (senza citarli) Michele Brambilla (che a quei tempi, quelli di “Moggiopoli”, era il Vicedirettore di “Libero”):
“…mai una volta che sfottessero Moggi e Giraudo, sempre ossequiati come geni del calcio e della finanza. Bastava vedere come si ponevano davanti a loro nelle interviste televisive, i nostri eroi del giornalismo sportivo: Moggi li pigliava per il culo e loro giù a sghignazzare, ma come sa mentire bene lei, com’è bravo, com’è furbo, com’è astuto. Ah, quando si dice la schiena dritta della categoria”.
Guarda caso, finita in Serie B la Juventus, la trasmissione è scomparsa… Le sue cronache (quelle di Piccinini) di partite, anche recenti (riascoltatele), sono sempre state condite da decine e decine e decine della stessa esclamazione: “Numero!”. Ciò, non in caso di una mirabolante rovesciata o di un dribbling effettuato dopo un doppio passo, oppure, di un colpo di tacco smarcante, ma anche quando si trattasse di un passaggio di piatto a un compagno di squadra che si trovava a pochi metri di distanza. Chissà se, Piccinini, avesse potuto commentare una partita di Diego Armando Maradona… Per novanta minuti avrebbe ripetuto la stessa parola: “Numero! Numero! Numero! Numero! Numero! Numero!”.
Degno compagno di merenda, d’altronde come molti giornalisti sportivi di Mediaset (ma come li assumono?!), è Pierluigi Pardo. Sembra che costui ci provi gusto a dimostrare al mondo che di Calcio capisce davvero poco; l’apoteosi l’ha raggiunta la scorsa estate con il programma “Balalaika”, una delle più insignificanti trasmissioni mai trasmesse dalle televisioni italiane (seconda solo a “Uomini e Donne”); certamente la peggiore in assoluto se ci si riferisce a programmi sportivi. Sempre impegnato nel dimostrare una sua certa “virilità simpatica”, ci chiediamo se abbia mai letto un Regolamento dello sport che commenta. Per fortuna, nelle sue cronache in diretta, gli ha sovente salvato la faccia Aldo Serena, sia con la sua serietà, sia con la sua competenza. Pardo non riesce nemmeno a essere all’altezza del simpatico Lucio Flauto (lui lo era davvero), che conduceva il “Pomofiore” su Antenna 3 Lombardia, negli Anni Settanta. L’ultima pisciata fuori dal vaso (lo sappiamo bene) l’ha fatta con il coinvolgimento a “Tiki Taka” della moglie di Mauro Icardi: Wanda Nara. Una cosa è certa: questa persona non ambisce al Premio Pulitzer.
Con l’occhio rivolto alle faccende di casa nostra, abbiamo un altro “genio” del Giornalismo nostrano: Gianluca Rossi (di TELELOMBARDIA), uno che si dichiara interista. Per certi versi è vero, infatti, rappresenta il tipico “tifoso da bar”, altro che Giornalismo… Su novanta minuti circa 70/80 sono di critiche: al gioco e al giocatore e ne ha per tutti: “Non si passa la palla così”, “Non si tira cosà!”, “Ma no, ma non, ma no…”… Poi, non va bene Cuper che fa il cambio sempre a 15 minuti dal termine e, tante volte (ma tante), non sono andati bene nemmeno Roberto Mancini e José Mourinho. Più zizzania di lui non conosciamo altri che ne abbiano seminata in campo nerazzuro. Rossi ha sempre il volto (come direbbe Collodi) “ingrugnito”, non solo quando va in onda e guarda fisso nel monitor, ma anche quando si aggira tra i “colleghi” allo stadio, con quell’atteggiamento tipico delle fighette-sfigate che pensano di averla solo loro… Soffre per l’Inter? Non lo sappiamo (forse sì), ma certamente certi “filo-pensieri” che aleggiano tra il tifo neroazzurro sono – senza ombra di dubbio – il frutto della pastura eseguita da commentatori come lui, che sembrano pagati per alimentare dissenso e malumore, anche in stagioni trionfali. Andate a riascoltarlo. Ciò che scrive sul suo blog non corrisponde a quanto afferma in televisione; in pratica un servitore dell’audience.
Per passare dal Giornalismo in televisione a quello sulla carta stampata, dobbiamo, purtroppo, scomodare “La Gazzetta dello Sport” (e ci dispiace, perché alcuni sono amici). L’eroe in questo caso è Luca Taidelli (di cui ci siamo già occupati tempo fa: scoprendo un suo pezzo, copiato “paro paro” da una intervista televisiva della sera precedente… E con tanto di copyright e divieto di riproduzione: che miseria, un uomo partorito dal romanzo di Victor Hugo). Taidelli è il “Teorico del nulla”: a tutti noi è stato insegnato come scrivere una pagina quando si hanno poche informazioni, oppure, se il registratore non ha registrato; a tutti noi è stato chiesto (almeno una volta): “Dai, quel giocatore è un pochino giù, fai due righe lodandolo…”; ma Luca Taidelli del nulla ha fatto addirittura una scienza. Sa tutto su tutto, ma se volete fare un business andate in emeroteca e rileggete i suoi articoli negli anni: tutti i suoi grandi scoop sono finiti come le nostre deiezioni quando si tira lo sciacquone… D’altronde i suoi scritti, perlopiù, quello sono. Fatelo! E pubblicate un libro, ma dovrete tagliare molti appunti per non pubblicare un tomo da mille pagine. Per questo non ci dilunghiamo
In generale le bandiere dei giornalisti sono da anni le stesse: la violenza negli stadi, il razzismo, l’avversione verso le Curve; ma nessuno che abbia mai approfondito l’argomento; nessuno che abbia mai fatto come la giornalista Nellie Bly. (2) Poi, lo ribadiamo, una parziale competenza dell’argomento trattato. Adesso è il periodo del “L’ex Liverpool”, “L’ex Real Madrid”, “L’ex Sassuolo”… Cioè, Kevin-Prince Boateng sarebbe “L’Ex Sassuolo” o “L’ex Milan”? Ma chi se ne frega! Si vuole dimostrare una certa competenza con queste puntualizzazioni?
Ah, già: “Non è rigore, la palla, ormai era lontana”… Poi, il “cartellino arancione”…
Ma perché Radio RAI non apre una scuola per giornalisti sportivi?
(1) Crf. Hans Christian Andersen, “I vestiti nuovi dell’Imperatore” (o “Gli abiti nuovi dell’Imperatore”).
(2) Elizabeth Jane Cochran (1864-1933) è stata la prima giornalista investigativa. Nel 1887 si finse afflitta da Paranoia allo scopo di farsi rinchiudere in un manicomio (quello dell’isola Blackwell), rischiando molto, allo scopo di raccontare ai propri lettori le condizioni delle donne ricoverate. Ha pubblicato: “Dieci giorni in manicomio”, pubblicato in Italia da: Edizioni Clandestine. Il testo è facilmente reperibile, perché la decima edizione è del 2018.
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