Ci siamo finalmente: #NapoliInter. Dopo la lunga serrata per contrastare la diffusione del Coronavirus, il Calcio italiano riapre il sipario sulla seconda parte di questa anomala stagione: quella che, in piena estate, in un periodo in cui solitamente giocatori e tifosi si rilassano in vacanza, assegnerà i suoi titoli nazionali e internazionali.
Dovendo già recuperare la partita contro la Sampdoria, rinviata nel mese di febbraio agli albori dell’epidemia, i Dirigenti neroazzurri avevano chiesto alla Lega Calcio di anticipare di ventiquattr’ore la Semifinale di ritorno di Coppa Italia (Napoli-Inter). Proposta bocciata. Pazienza.
L’Inter scenderà, quindi, come da calendario, sabato 13 giugno sull’ostico campo del San Paolo per contendere al Napoli l’accesso alla Finale di Coppa Italia in programma all’Olimpico di Roma appena quattro giorni più tardi, nel cinquantesimo anniversario di Italia-Germania Ovest 4 a 3: “La partita del secolo”, come ufficialmente riconosciuta dalla FIFA per le irripetibili emozioni e il risultato costantemente in bilico per 120 minuti.
Il compito non è certo dei più agevoli, considerando che, tra le mura amiche del “Meazza”, i ragazzi di Conte, nonostante una gara condotta tenendo a lungo il pallino del gioco, sono stati sconfitti dall’eurogol realizzato da Fabiàn Ruiz, in uno dei rari quanto minacciosi contropiedi mirabilmente studiati da Gattuso nel tentativo di mettere in difficoltà un avversario sulla carta più forte. Novanta minuti, però, sono lunghi e l’Inter dispone di Campioni in grado di ribaltare un risultato che al momento favorisce i partenopei.
Per una volta sarà dunque il torneo della Coccarda tricolore a ritagliarsi la ribalta in un’occasione che, bene o male, resterà nella storia del nostro sport come l’inizio della rinascita. Una competizione troppo spesso trascurata, snobbata, incastrata in date e orari scomodi quasi fosse un fastidioso “riempitivo” di calendari già saturi di impegni. Eppure, oltre a mettere in palio un trofeo per arricchire la bacheca e garantire la partecipazione alla Coppa Uefa, è capitato spesso che proprio la Coppa Italia sia stata la prima pietra sulla quale costruire cicli vincenti.
I primi a sperimentare l’iniezione di autostima offerta dal secondo trofeo nazionale per importanza sono stati, nel 1978, gli “operai” di Eugenio Bersellini.
Alla prima stagione sotto la guida del nuovo mister, Capitan Bini alzò al cielo di Roma un trofeo al quale aveva contribuito segnando la rete decisiva a pochi minuti dal triplice fischio.
Ironia della sorte, l’avversario dell’ultimo atto era anche allora il Napoli che, così come oggi, andò in vantaggio per poi venire rimontato e superato. Chissà che non sia di buon auspicio.
Dopo quella vittoria, nelle successive cinque stagioni con in panchina l’allenatore emiliano, l’albo d’oro interista si arricchì del dodicesimo Scudetto (1980), sancito dal goal di Mozzini contro la Roma a due giornate dalla fine e ricordato sia per l’integerrima onestà dei neroazzurri in un contesto avvelenato dal Calcioscommesse, sia per essere stato l’ultimo conquistato da una rosa interamente italiana. Si conquistarono, poi, la prima edizione del “Mundialito” (1981) e un’altra Coppa Italia (nel 1982) vinta nel doppio confronto contro il Torino e decisa dalle reti di Serena e Altobelli.
Resta il rammarico per una Coppa dei Campioni sfiorata e svanita solo in una drammatica Semifinale contro lo storico rivale Real Madrid, nonostante uno stadio esaurito in ogni ordine di posti che ha spinto la Beneamata, fino all’ultimo secondo, a gettare il cuore oltre l’ostacolo. Purtroppo, contrariamente a tre anni prima, la stoccata di Bini festeggiata in un travolgente abbraccio con i tifosi assiepati nei parterre non è stata sufficiente a eliminare un avversario che si è dimostrato superiore.
Se queste rievocazioni appariranno a molti come leggende ormai lontane, sicuramente tutti ricorderanno, invece, il periodo glorioso vissuto tra il 2004 e il 2011. Sette anni in cui, a celebrare un totale di 14 titoli, non è stato come in precedenza un solo tecnico artefice di un progetto accuratamente programmato, bensì quattro diversi allenatori, ciascuno con i suoi metodi, il suo credo tattico, il suo carattere, ma tutti entrati ugualmente nella storia neroazzurra. Il primo, colui a cui spettano i meriti maggiori, non solo per i suoi trionfi, ma anche per quelli dei suoi successori, è stato Roberto Mancini, fortemente voluto dall’allora Presidente Massimo Moratti, che già lo stimava da giocatore. Fu proprio il mister jesino a riaprire la bacheca societaria dopo un lungo digiuno che durava dal 1998. Mancini, del resto, aveva sempre avuto un feeling particolare con la Coccarda tricolore, avendone già vinte ben 6 sul campo e 2 in panchina nelle sue precedenti esperienze con Sampdoria, Lazio e Fiorentina. Anche a Milano non si smentì: il 15 giugno 2005, davanti a più di ottantamila tifosi in delirio dopo la doppietta di Adriano nella partita di andata all’Olimpico, ci pensò Mihajlović con uno dei suoi imparabili calci piazzati a dare il via alla festa. Mentre Ivan Ramiro Cordoba, per l’occasione Capitano vista l’assenza di J. Zanetti, sollevava il trofeo, nemmeno il più sfegatato ultrà della Curva Nord lo poteva immaginare ma a quella Coppa da tanti sottovalutata, e a volte perfino relegata a “portaombrelli” (come la definiscono gli sconfitti appena eliminati), ne sarebbero seguite tante altre con forme, valori e storie diverse, però, tutte ugualmente importanti e ugualmente emozionanti per chi ha avuto la fortuna di assistere, anche solo attraverso uno schermo televisivo, alle premiazioni di Mourinho, Benitez e Leonardo.
(Il nostro Direttore, Pierluigi Arcidiacono, con la Coppa Italia vinta da Roberto Mancini, nel 2005)
Quell’Inter, scopertasi vincente proprio quando nessuno se l’aspettava e rinforzatasi anno dopo anno grazie ai nuovi fuoriclasse acquistati e alla crescente consapevolezza delle proprie qualità, era una corazzata invincibile; sembrava che il suo fantastico ciclo non dovesse finire mai. Invece, sono trascorsi ormai nove anni da quella serata romana in cui la doppietta di Eto’o e il sigillo finale di Milito infransero il sogno del valoroso Palermo, giunto meritatamente in Finale. Troppi, decisamente troppi, per una grande storica del Calcio italiano, nonché tra le squadre più conosciute al mondo!
È il momento di tornare a gioire, a esultare con le braccia al cielo, a ornare le maglie neroazzurre con distintivi che incuteranno timore a chi ci guarderà sul petto. Tra noi e un nuovo inizio ci sono solo due partite, poi, si sa, l’appetito vien mangiando e dalle parti di Appiano Gentile sappiamo bene quali faraoniche abbuffate ci attendono dopo l’“antipasto” della Coppa Italia.