Le Glorie di “Mandrake” – Di Cristiano Marzorati

In Primo Piano Nerazzurri

Ero ancora nel dormiveglia quando la telefonata mattutina del nostro Direttore mi ha comunicato la triste notizia.
A meno di un mese dalla scomparsa del mister gentiluomo Gigi Simoni, un’altra tragedia si abbatte sul mondo neroazzurro. Sabato, 20 giugno, è venuto a mancare all’età di 78 anni, di cui gli ultimi con due bypass impiantati per aiutare un cuore provato da mille battaglie, Mario Corso: pupillo di Moratti Senior e protagonista assoluto di quasi vent’anni di storia dello sport italiano.

(Foto di Marco Ravezzani)

Che dire di lui? Che ci mancherà? Beh, certo, questo è talmente ovvio che perfino le rivali storiche gli hanno reso omaggio pubblicando sui loro social network messaggi di stima e rispetto, come solo i personaggi di un’epoca in cui il Calcio era genuino hanno meritato.

Cosa possiamo aggiungere per celebrare un atleta i cui soprannomi erano “Mandrake” e “Il piede sinistro di Dio”? Mariolino, così chiamato perché arrivato a Milano giovanissimo dalla natia San Michele Extra (VR), fin dalle prime apparizioni in un’Inter non ancora “Grande” come sarebbe diventata di lì a qualche anno sotto la guida di Helenio Herrera, si è messo in mostra grazie a una tecnica superiore che trovava la sua massima espressione sulle azioni da palla inattiva. Il suo unico difetto, peraltro comune a tutti i giocatori nati con il talento infuso, era la scarsa propensione alla corsa. A lui, del resto, non serviva. Era il pallone che, telecomandato da piedi sapienti, correva al suo posto. I suoi (pochi) denigratori insinuavano che nelle giornate più afose si defilasse sulla fascia per godere di un po’ di ombra, e a volte questo suo atteggiamento infastidiva lo stesso “Mago” che, forse più come provocazione che per reale convinzione, ogni estate metteva il suo nome in cima alla lista delle cessioni. Inutilmente, considerando che tanto ci pensava il Presidente in persona a confermarlo senza esitazioni. Così, anno dopo anno, Corso ha illuminato San Siro, l’Italia, l’Europa e il mondo, sciorinando giocate d’alta classe scolpite a caratteri cubitali nella leggenda interista. Due su tutte: il calcio di punizione che aprì la straordinaria rimonta contro il Liverpool nella Semifinale di Coppa dei Campioni del 1965 e l’azione decisiva nello spareggio della Coppa Intercontinentale disputato a Madrid l’anno precedente. Quest’ultima in particolare illustra la completezza di un giocatore capace di servire millimetricamente un compagno a più di trenta metri, per poi farsi trovare puntuale e smarcato all’appuntamento con il passaggio di ritorno, scaraventato in rete senza lasciare al malcapitato portiere avversario nemmeno il tempo di abbozzare la parata. Il tutto a pochi minuti dallo scadere dei tempi supplementari che valevano la salita sul tetto del mondo, quando alla tensione per un traguardo storico si aggiungevano crampi lancinanti che rendevano improbo anche il movimento più banale. Oggi si direbbe “nervi saldi e cuori caldi”, caratteristiche sicuramente ben vive in tutti gli eroi dell’epopea euromondiale degli Anni Sessanta, di cui il numero 11 faceva parte a pieno titolo.

Se Corso era l’ultimo nome citato nella celebre filastrocca mandata a memoria dai tifosi dell’epoca e poi tramandata alle generazioni future, qualche anno dopo, quando alla sfrontatezza del ragazzino dotato si era unita la piena maturità agonistica, insieme ad altri reduci dei trionfi morattiani e ad alcune nuove leve assai promettenti, avrebbe vissuto la stagione a detta di molti migliore della sua carriera. Mariolino, nel frattempo diventato Mario, infatti, prese per mano un’Inter inizialmente destabilizzata dai metodi del nuovo allenatore Heriberto Herrera (HH 2) e poi rinfrancata dal suo sostituto proveniente dalla Primavera Gianni Invernizzi, accompagnandola di partita in partita a una rimonta impensabile, conclusa con la conquista dell’undicesimo Scudetto, primo trofeo a finire nella bacheca del neo Presidente Fraizzoli. A suggellare quell’impresa, castigando il Milan capolista in un derby che si rivelò un vero e proprio passaggio di consegne, fu proprio “Mandrake” con una beffarda punizione dal limite dell’area: non la classica “foglia morta” che scendeva appena oltrepassata la barriera, bensì un tocco rasoterra vellutato, infilatosi a pelo d’erba tra il muro rossonero e il primo palo teoricamente coperto da un sorpresissimo Cudicini. Pochi minuti dopo il raddoppio di Sandro Mazzola mise in cassaforte il risultato e al termine di quella partita, sebbene i “Casciavit” mantenessero ancora un punto di vantaggio, fu chiaro a tutti quale sarebbe stato l’esito finale del Campionato. L’Inter aveva messo la freccia, l’inevitabile sorpasso era ormai imminente e infatti si concretizzò appena tre giornate dopo. A maggio la Beneamata si laureò Campione d’Italia e Corso si cucì sulla maglia il quarto tricolore di una carriera formidabile, indissolubilmente legata ai colori neroazzurri. Una simbiosi proseguita anche una volta appese le scarpe al chiodo, che lo ha portato a mettere la sua esperienza al servizio anche di Ernesto Pellegrini e Massimo Moratti, svolgendo i ruoli di osservatore, allenatore delle giovanili, e all’occorrenza anche della Prima Squadra.

Eravamo tutti così abituati a considerarlo parte integrante dell’Inter che adesso stentiamo a credere che non sia più con noi. Evidentemente Dio, dopo essere rimasto a lungo zoppo, ha deciso di riprendersi il suo piede sinistro.

(La foto in apertura di servizio è di Marco Ravezzani)

Qui sotto Cristiano Marzorati con Mariolino Corso.

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