L’anno che verrà – Di Alessandro Roncaglia

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Dopo aver iniziato l’anno nel modo migliore nella partita contro il Crotone, i nerazurri perdono tre punti fondamentali in #SampdoriaInter; partita complicata da un terreno di gioco ai limiti dell’impraticabilità, ma, soprattutto, da alcune leggerezze difensive che talvolta costringono i nerazzurri a iniziare le partite in svantaggio.

Ci riferiamo ai punti persi, perché la XVI era una giornata fondamentale, in cui, grazie allo scontro diretto Milan-Juventus, l’Inter avrebbe potuto recuperare punti pesanti ad almeno una delle nostre rivali dirette. Un’occasione ghiotta in un turno (almeno apparentemente) favorevole. Obiettivo fallito.

La gara ha visto un ottimo inizio dell’Inter, con due palle goal non realizzate grazie anche a un Audero che si preannunciava già in giornata di grazia. Al decimo minuto poteva già mettersi in discesa per i nerazzurri, grazie al rigore che il VAR segnalava all’arbitro Valeri: tocco netto con braccio largo di Thorsby. Sul dischetto si presentava Sanchez (le cui statistiche sui penalty facevano semplicemente rabbrividire, ma che aveva segnato l’unico rigore tirato con maglia della “Beneamata”); Audero parava; Young ribadiva a botta sicura, ma colpiva l’interno dell’incrocio dei pali.
A questo punto la partita cambiava e la Sampdoria prendeva coraggio riuscendo a tenere discretamente palla e a impensierire l’Inter prima con un colpo di testa dal limite dell’area di Tonelli che finiva sulla traversa.

Dopo un quasi rigore (tolto dal VAR) per mani di Lautaro un paio di metri fuori area, a seguito di un corner un ingenuo Barella emulava Thorsby causando il penalty per la Sampdoria. Candreva si dimostrava lucido e realizzava il vantaggio blucerchiato. Rete dell’ex, che per l’Inter è un po’ come: “La dura legge del goal”…

Partita in equilibrio e dopo un’azione personale travolgente, il blucerchiato Damsgaard (veramente interessante questo giovane) metteva in mezzo dalla fascia destra un traversone basso che Keita (ancora un ex) riusciva a deviare in porta anticipando Škriniar; una deviazione bassa abbastanza ravvicinata che è stata sì rapida, ma centrale e non proprio irresistibile.

Handanovič, però, piazzato non perfettamente e lento nel chinarsi, riusciva solo a toccarla senza impedire al pallone di entrare in rete.

Sotto 2 a 0 iniziava la scalata di un Everest che l’Inter, però, provava a portare a termine imbastendo un elenco enorme di palle goal, con protagonisti tra fine primo tempo e secondo tempo Lautaro (tre volte), Sanchez e Perisic (entrato nella ripresa) che con due colpi di testa aveva le occasioni per riaprire la partita. Infine, ci prova anche De Vrji, sempre di testa, su corner di Brozović , e questa volta ci riesce, realizzando il 2 a 1.

Mancava quasi mezz’ora e da poco era entrato anche Lukaku su cui Audero compiva un autentico miracolo su un colpo di testa ravvicinato, per poi ripetersi su Lautaro presentatosi a tu per tu dopo una bella azione personale dalla destra. Poco più di 20 minuti anche per Eriksen, che ci provava su punizione dal limite ma calciava due volte in maniera imprecisa.
Questo canovaccio con solo l’Inter in campo e la Samp in trincea protetta dal suo scudiero tra i pali e dalla “Dea bendata” che fa uscire i palloni di pochi centimetri proseguiva fino alla fine del match, quando Bastoni al 90° si trovava la palla da insaccare a colpo sicuro a cinque metri dalla porta ma svirgolava.

Finiva così una partita stregata con una sconfitta forse immeritata ma che ci ha fornito lo spunto per alcuni spunti di analisi post match.

La prima riflessione è che l’Inter, statisticamente, subisce goal al primo tiro in porta.
La seconda è l’evidente assenza di un vice Lukaku. Giocando con due attaccanti ne occorrerebbero almeno quattro.

Pensiamo che molti tifosi, finora spinti dai media e da giornalisti “amici” a considerare Conte il capro espiatorio di tutto, si renderanno conto che non è stato lo stipendio di Vidal a mettere in difficoltà il club; tra l’altro pari a quello in uscita di Godin (quest’anno sempre out per Covid-19 e infortuni); e che il punto debole della nostra squadra non sta seduto in panchina.

Forse, come afferma Bergomi, Antonio Conte è invece il punto di forza che ci rimane.
Almeno nell’anno che verrà.

(Foto in apertura di servizio di ©Mattia Ozbot)

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