Ieri sera sono andato a letto presto, ero stanco. Essere medici è il lavoro più bello del mondo ma ti costringe sempre a dare tutto, non ci si può fermare mai. Così, stanco, mi sono addormentato subito e ho sognato…
Ho sognato che salvavo la vita a un neonato che non riusciva più a respirare, un bimbo appena nato qui, a Buenos Aires, nella mia città e, così, gli mettevano anche il mio nome. Iniziavo a essere troppo stanco anche per sognare eppure continuavo a vedere quel piccoletto nei miei occhi, come fosse davanti a me.
Ho sognato che quel neonato cresceva e che, per imparare a camminare, seguiva una palla che rotolava davanti a lui.
Ho sognato che, un po’ più grande, iniziava a giocare a pallone sul serio e, così, la squadretta del suo quartiere raggiungeva la Finale del torneo locale. Lui, però, a furia di correre e correre per il campo si era sfasciato tutte le scarpette. E ora che fare? Cercavo, muovendomi senza rendermene conto fra le lenzuola del mio letto, di afferrare il mio portafoglio, di prendere qualche banconota per regalargli un paio di scarpe nuove: era così bello vederlo giocare…
Ho sognato che quel bambino dalle scarpette rotte riusciva a raggiungere la massima serie del Campionato argentino. Poi, lo venivano a osservare da lontano, dall’altra parte del mondo: dall’Italia.
Ho sognato che se lo portavano in quel bel Paese quei signori ben vestiti che erano venuti a vederlo, se lo portavano all’Inter, senza che nessuno, dalle loro parti, lo conoscesse più di tanto.
Ho sognato che arrivava al campo dall’allenamento estivo con un sacchetto di plastica in mano e che, per raggiungere il campo dove allenarsi, era costretto a farsi largo tra una folla di tifosi, che non era lì per lui, che si chiedeva chi fosse quell’uomo fastidioso che voleva superare tutti.
Ho sognato che questo ragazzo iniziava a indossare sempre più spesso la maglia nerazzurra.
Ho sognato che il 6 Maggio del 1998 quello che, ormai, era un uomo, segnava il goal del due a zero nella Finale di Coppa UEFA, giocata a Parigi contro la Lazio, vinta dall’Inter per tre a zero.
Ho sognato che, poco tempo dopo, sul braccio di quel neonato che, ormai, era un Campione, veniva “cucita” la fascia di Capitano.
Ho sognato che, quando entrava in campo, i cori dei tifosi erano sempre tutti per lui.
Ho sognato che quel campione, ormai bello, bravo, ricco e famoso, non si dimenticava delle persone che soffrono e fondava un’associazione per portare aiuti ai bambini bisognosi della città in cui era nato.
Ho sognato che la sua squadra non brillava e che le squadre più forti del mondo gli offrivano ingaggi stellari per averlo con sé.
Ho sognato che lo chiamavano spesso, che lo tampinavano con lusinghe e moine, ma lui rispondeva: “Per me c’è solo l’Inter!”. E lo diceva perché ci credeva davvero, non per fare l’eroe.
Ho sognato che scendeva in campo per la sua squadra, per la settecentesima volta, con la stessa maglia e, proprio quella sera, da vero Capitano, sollevava al cielo la Coppa dalle grandi orecchie.
Ho sognato che il suo cuore voleva continuare a dare tutto se stesso per la sua Inter e così, tolti, a fatica, gli splendidi abiti del Capitano, indossava quelli prestigiosi del Vicepresidente della sua amata squadra.
Ho sognato che incontrava il Papa e, insieme, organizzavano una grande partita di Calcio per la pace.
Ho sognato, in questa notte dove sembrava quasi di non dormire da quanto tutto pareva così perdutamente vero, qualcosa che non pensavo potesse esistere.
Ho sognato il Capitano, Javier Adelmar Zanetti.
Serenella Calderara
(Il dottor Adelmar salvò realmente il piccolissimo Javier che, nei primi giorni di vita, soffriva di gravi problemi di respirazione)