Grande Inter «Figlia di Dio»

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Quando una squadra di Calcio raccoglie in sé un Presidente capace di svolgere con la stessa disinvoltura il ruolo di freddo imprenditore e papà affettuoso, un allenatore rivoluzionario e carismatico che alla vigilia di un derby può permettersi di dichiarare: “Per noi il Milan non esiste!” (e poi dimostrarlo annientandolo sul campo), un Direttore Sportivo dall’occhio lungo in grado di individuare talenti cristallini ancora sconosciuti ai più, un Vice Presidente avvocato sagace e pungente, che tra una battuta e l’altra riesce a rovesciare a proprio favore cause apparentemente perse, e un gruppo di giocatori che fa del motto “Tutti per uno, uno per tutti” una filosofia nello sport come nella vita… beh, risulta davvero difficile ridurla ai limiti umani. Viene naturale accostarla a qualcosa di soprannaturale, di “divino”, appunto.

È così che nasce l’idea di Danilo Sarugia, storico giornalista milanese di provata e incrollabile fede nerazzurra (Capo dell’Ufficio Stampa della società nerazzurra dal 1981 al 1985) di dare alle stampe “Grande Inter Figlia di Dio” (Limina Edizioni – 1996): un libro che ci conduce per mano attraverso “un lungo percorso tanto difficoltoso all’inizio, quanto trionfale alla fine”, come lo definisce Massimo Moratti nella sua sobria prefazione. Una prefazione volutamente priva di fronzoli autocelebrativi, perché è sufficiente l’albo d’oro a descrivere la macchina perfetta che in un intenso quadriennio ha posto la sua impronta indelebile nella storia del Calcio italiano ed europeo, dominando la scena e guadagnandosi l’immortalità sportiva propria dei più grandi. Chi questa epopea l’ha vissuta in prima persona farà un tuffo nel passato, ritrovando nelle parole dei protagonisti, sincere, schiette, non filtrate da Addetti Stampa interpreti come oggi di un copione recitato all’infinito, la stessa felicità o la stessa amarezza provate all’indomani delle vittorie più leggendarie e delle beffe più atroci. I più giovani, quelli che hanno forse guardato distrattamente le fotografie in bianco e nero con la superficialità tipica di chi sfoglia un passato apparentemente remoto, avranno invece l’impressione di trovarsi al centro di una storia d’altri tempi, dove l’eterna lotta tra il bene e il male si trasferisce su un campo di Calcio. Dove i buoni non sempre vincono, ma anche nella sconfitta escono comunque a testa alta. Gianfelice Facchetti, figlio del terzino sinistro di quella squadra e chiamato nel 2008 a celebrare il Centenario della società sul prato dello stadio “Meazza”, nel suo discorso carico di sentimento e appartenenza parlò tra l’altro di “cento anni di sfide, di vittorie e di orgoglio, di tantissimo orgoglio!”. Ecco, la parola chiave è questa: orgoglio. Perché vincere è relativamente facile, dominare è possibile, ma solo in pochi possono guardarsi allo specchio dopo una sconfitta, pronti a ripartire più carichi di prima. Anzi, forse, solo noi!

Sebbene incentrata sui gloriosi Anni Sessanta, l’opera di Danilo Sarugia non manca di ricordare i pionieri del secolo scorso, l’Ambrosiana autarchica per volere del Duce, i pomeriggi all’Arena, gli scudetti del mister “catenacciaro” Alfredo Foni e via via fino al Tricolore dei Record conquistato nella stagione di grazia 1988-1989 dall’Inter italo-tedesca mirabilmente guidata in panchina da Giovanni Trapattoni. Oggi sappiamo che la scia di vittorie si è ulteriormente arricchita e non poteva essere altrimenti. Perché tutte le Inter, in fondo, sono “figlie di Dio”.