Il testo che segue è tratto da “Vade retro Satana – Storie di una vita neroazzurra” di Pierluigi Arcidiacono (Librificio-PROEDI – 2004).
“L’aggettivo “grande” è stato usato solo per due squadre: la “Grande Inter”, quella di Angelo Moratti, guidata dal “Mago” Helenio Herrera, e il “Grande Torino”, scomparso tragicamente in un incidente aereo a Superga, al rientro di una trasferta a Lisbona. La Basilica di Superga fu fatta erigere da Vittorio Amedeo II. Aveva fatto un voto alla Madonna nel 1706: se Torino si fosse salvata dall’assedio dei francesi avrebbe costruito sul colle di Superga un tempio dedicato a Lei. Proprio sul retro della Basilica c’è la lapide con i nomi dei giocatori, dei dirigenti e dei giornalisti che si trovavano su quell’aereo.
Il destino ha voluto che l’ultima partita di campionato giocata dai granata fosse proprio contro l’Inter. Il Torino guidava la classifica e l’Inter seguiva a quattro punti. Giocando in casa c’era la possibilità, vincendo, di dimezzare lo svantaggio. Mancavano quattro giornate alla fine del campionato. Finì zero a zero. In quella squadra giocava Valentino Mazzola, il papà di Sandro, il mitico baffo dell’Inter che vinse tutto negli anni Sessanta. Le parole migliori per descrivere ciò che accadde dopo l’incidente aereo sono quelle dell’avvocato Peppino Prisco: “Fu davvero una tragedia nazionale, anche perché tutta la squadra era finita in maglia azzurra. Certo, i tifosi del Torino avranno sofferto di più, ma eravamo tutti molto tristi. Fu una pagina di partecipazione generale, ci si inchinava tutti a una ‘dittatura sportiva’. Non c’era nulla di spregevole in questa definizione, perché erano davvero i più forti”.
Nelle partite successive a quel tragico evento le altre squadre mandavano i ragazzini a giocare contro il Torino, così la Federcalcio decise di assegnare la vittoria in campionato ai granata. Probabilmente lo scudetto lo avrebbe vinto ugualmente il Torino, o forse l’avremmo vinto noi. Però è vero quel che ha detto l’avvocato Prisco, fu davvero una tragedia nazionale, e io attraverso il ricordo e il racconto di mio padre la sento viva nel mio intimo, anche se non ero ancora nato. Ma proprio questo è la tradizione: saper trasmettere il passato come il presente, nel bene e nel male, affinché si trovi fortezza dello spirito nel primo e si tragga esperienza e coscienza dal secondo. Io sono onorato di avere perso quel campionato con il “Grande Torino”. Un giorno porterò lì mio figlio, a Superga, dove davanti alla lapide c’è sempre qualcuno. Accanto ai ricordi granata lasceremo le nostre sciarpe neroazzurre e spero che mio figlio, un giorno, ci torni con il suo.”
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