GENOVA – sabato 2 marzo Ventiquattro – Ultimo saluto a Maria Francesca Picchi – Il vento freddo abbracciava la chiesa di Sant’Antonio in Boccadasse, ma molti genovesi erano seduti a mangiare o a sorseggiare ai tavolini della della piccola baia sottostante, scendendo per via Aurora.
Verso le 14:00 arrivano i primi parenti: per primi i Livornesi, con Paolo e Paola Saltini, Susanna, Alessandra e Paola, le nipoti di Armando Picchi, il Capitano della “Grande Inter”.
Poi, arriva anche il C.T della Nazionale Italiana Campione del Mondo nel 2006, Marcello Lippi, con la moglie Simonetta, cari e storici amici della sorella di Francesca, Giusy.
Massimo Moratti e l’A.D. Sport dell’Inter Giuseppe Marotta avevano telefonato al figlio Leo per fargli sentire la propria vicinanza e il Vice-presidente nerazzurro Javier Zanetti gli aveva inviato un affettuoso messaggio.
Fuori dalla chiesa il clima è sereno, come dovrebbero essere i funerali cattolici, e i figli di Francesca, Leo e Gianmarco, sorridono dolcemente, mettendo a proprio agio gli intervenuti. Anche i figli di Leo, Lorenzo Armando e Federico Augusto (ormai grandi e altissimi) si muovono tra le persone come due Principini di una Famiglia Reale.
Poi la Messa e l’ultimo saluto di Leo. I figli si alzano e gli vanno accanto, mentre legge la sua lettera alla mamma… Davvero un buon servizio a Dio:
Mi perdonerete se rendo pubblica una riflessione così intima e privata ma mi preme molto condividere con voi due cose: la prima è che per una questione di coerenza vorrei anche pubblicamente domandare perdono alla mia mamma; la seconda è che vorrei condividere con voi l’ennesima manifestazione della presenza di Dio nella mia vita:
Perdono è la prima parola che vorrei pronunciare. Perché alla fine credo che ci siamo reciprocamente perdonati.
Francesca, probabilmente, non è stata la mamma migliore del mondo ed io certamente non sono stato un figlio buono. Sempre troppo severo, critico, giudice. Raramente comprensivo. Sempre indulgente invece con me stesso. Adagiato nella mia molle indolenza, non ho mai provato con la necessaria forza e determinazione a scardinare quella porta di distanza e indifferenza apparente che Francesca ha chiuso dietro di sé dopo lutti insopportabili e dispiaceri infinitamente pesanti da sostenere. Pesanti perfino per individui ben più forti e strutturati di lei nel riuscire a far fronte al conto che la vita qualche volta, inaspettatamente, ti presenta. Magari proprio quando sembrava che tutto andasse in una maniera così splendida da non riuscire nemmeno a immaginare di dover affrontare momenti così bui e dolorosi.
Per tutta la nostra vita non siamo riusciti a capirci e a sostenerci a vicenda, confusi da filtri e modelli che esistevano solo nella nostra testa e nelle nostre futili e vane aspirazioni di esseri umani. Avremmo dovuto accettarci per quello che eravamo: creature del Signore, con qualche pregio e molti più difetti e imperfezioni, ma persone vere. Siamo persone vere e non ideali. Viviamo calati nella fatica, nella lotta e nelle soddisfazioni del cammino che terrenamente dobbiamo percorrere. I più fortunati tra noi con la Fede a farci da stampella. Con la speranza o la convinzione che nel preciso momento in cui chiuderemo gli occhi per congedarci da questo mondo, non sarà un indefinito commiato, ma l’inizio della vita vera, quella celeste, quella del ritorno al Padre.
Pochi giorni fa, mentre percorrevo in auto la strada verso Genova, ho pregato così forte che mi sono reso conto che stavo gridando. Ho lanciato una supplica verso il Cielo, chiedendo di potermi finalmente avvicinare a Francesca nel modo giusto, con la forza dell’amore e dell’accoglienza reciproca. Ho pregato così intensamente nostro Signore che mi inviasse in soccorso la forza del suo Spirito e ho pregato il mio Papà affinché mostrasse anche a me la Luce che per tutta la mia vita ho pensato che solo lui, nella sua infinita bontà, avesse colto in lei.
In questi ultimi mesi ci siamo riavvicinati e per la prima volta da quando, siamo rimasti tutti e tre soli, ho smesso di cercare da lei un gesto o una parola di approvazione o riconoscenza. Gesti ai quali superbamente credevo di avere diritto. E così, come per miracolo, nel preciso istante in cui ho smesso di pretendere, ho avuto. Con un semplice sguardo che per un attimo ha perforato con una luce intima, fulgida e scintillante quegli occhi che sembravano ormai, inesorabilmente spenti, velati per sempre, e che invece in un batter di ciglia hanno emesso un bagliore illuminante e mi hanno fatto comprendere quello che per tutta la vita avevo cercato senza capire. Era tutto lì, racchiuso in uno sguardo che in un attimo infinito e inaspettato mi ha restituito per sempre la mia Mamma.
Concludo con questa semplice orazione: Addio Mamma! Nel senso proprio di: Ti raccomando e ti affido a Dio! Con tutto l’amore che terrenamente non ti ho saputo dare, ma che ora custodisco nel luogo più intimo e profondo del mio cuore e che da oggi, prenderà nuova vita, ogni sera, nel momento della preghiera.