Un goal di Mertens (in #NapoliInter) ha infranto il sogno interista di raggiungere la Finale di Coppa Italia. La ripartenza del Calcio italiano ha consegnato ai tifosi nerazzurri l’ennesima, cocente, delusione.
I fans della “Benamata” dovrebbero averci fatto il callo alle delusioni perché sono ben 9 anni che l’Inter non mette trofei in bacheca e 9 anni che non raggiunge una Finale di una qualsiasi competizione ufficiale. Il tanto vituperato Milan, nello stesso periodo, ha conquistato una Supercoppa Italiana e giocato due Finali di Coppa Italia oltre ad aver disputato un’altra Finale della Supercoppa nazionale. Per l’Inter zero assoluto. L’ultimo hurrà nel lontano 29 maggio 2011 quando sconfisse il Palermo 3 a 1 in Finale di Coppa Italia, mentre l’ultima Finale in assoluto giocata dalla nostra squadra risale al 6 agosto dello stesso anno, a Pechino, contro i cugini del Milan. Fu una sconfitta per 2 a 1 e la Supercoppa Italiana 2011 prese la strada di Milanello.
Un digiuno da vittorie e conquiste che dovrebbe indurre la società Inter ad avere una fame pazzesca di trofei. Infatti, negli ultimi 60 anni della sua gloriosa storia, mai il club nerazzurro aveva trascorso un periodo così lungo senza vincere alcunché. Il digiuno da vittorie più prolungato era stato di 7 anni e in due occasioni (dalla conquista dello Scudetto 1971 alla vittoria della Coppa Italia nel 1978; dalla vittoria in Coppa Uefa 1998 a quella nella Coppa Italia 2005).
La partenza super della “Conte-Band”, confessiamo, ci aveva illusi che questa potesse essere la stagione buona per tornare a vincere qualcosa, ma pare che la tifoseria interista dovrà ancora armarsi di santa pazienza. L’eliminazione dalla Champions era stata amara, ma era chiaro che vincere il massimo trofeo continentale era impresa improba. Il cammino in Campionato, invece, aveva fatto pensare che lottare per vincere lo scudetto fino all’ultima giornata non fosse affatto una chimera. Sicuramente, la conquista della Coppa Italia era l’obiettivo più alla portata ed essere stati eliminati in Semifinale brucia. Brucia parecchio perché la lotta scudetto è ormai una questione tra Lazio e Juve e vincere l’Europa League è sì fattibile, ma anche molto difficile. Per questo ha fatto male il pari del San Paolo. Ci ha fatto molto male perché ci ha tolto la concreta possibilità di mettere fine a un inglorioso digiuno che sta devastando la storia di un club prestigioso che noi tanto amiamo. Noi tifosi dell’Inter, club 3 volte Campione del Mondo e 3 volte Campione d’Europa, non meritavamo e non meritiamo un periodo così lungo di mortificazioni.
A onor del vero, ripensando allo svolgimento delle due partite di Semifinale dell’attuale Coppa Italia, l’Inter avrebbe meritato più del Napoli di raggiungere la Finale della manifestazione.
In sostanza, con due tiri in porta in due partite, il Napoli ha raggiunto il suo obiettivo, mentre l’Inter si è arresa di fronte alle prodezze di Ospina. Il portiere partenopeo con almeno quattro interventi prodigiosi ha detto no ai tentativi dei giocatori interisti di segnare il secondo goal che avrebbe dato loro la gioia della finale.
Conte ha dato fiducia a Eriksen schierando i suoi giocatori col consueto 3-5-2 e la squadra ha giocato un buon match in cui, soprattutto nella prima parte, ha messo sotto gli avversari controllando per larghi tratti il gioco. Eriksen giocava “alla Sensi” mostrando una buona intesa con Brozović. Il danese avanzava come punto di riferimento sulla trequarti offensiva in fase di possesso e retrocedeva fianco a Brozo e a Barella in fase di non possesso.
Il “Principe”di Danimarca è stato il migliore dei nostri e proprio lui ci ha illusi segnando, dopo soli 2’, il goal del vantaggio dell’Inter direttamente da corner (ultima impresa interista del genere fu di Recoba nel 2007 contro l’Empoli). Ospina ha agevolato la rete nerazzurra con un intervento maldestro, poi, si è, purtroppo, ampiamente riscattato.
Il gioco dell’Inter risultava fluido ed efficace con frequenti cambi di fronte che mettevano Candreva e Young nelle condizioni di pungere dalle fasce la retroguardia azzurra. Dopo un paio di pregevoli interventi che hanno impedito il legittimo raddoppio ospite, Ospina ha messo sui piedi di Insegne, con un lungo rinvio conseguente a un corner nerazzurro, la palla che ha consentito all’ala napoletana di servire Mertens, a tu per tu con Handanovič, per il facile goal del pari.
Scorreva il minuto 42 della sfida. Un errore di piazzamento difensivo indegno di una formazione di alto livello. Dei tre centrali difensivi schierati da Conte non si è vista traccia in quella circostanza e a inseguire il velocissimo Insigne si è trovato Eriksen che di sicuro velocista non è. A quel punto, Gattuso ha potuto adottare la tattica preferita per il “suo” Napoli: linee strette a chiudere tutti gli spazi e pronte ripartenze a ribaltare il fronte con i “furetti”: Politano, Mertens e Insigne.
Nella ripresa Conte ha messo mano ai cambi un tantino in ritardo. In particolare, l’ingresso di Sanchez ha vivacizzato la manovra di attacco e per due volte l’Inter è andata vicinissima al raddoppio: prima il cileno ha mancato di pochissimo il bersaglio con un diagonale di destro, poi, Ospina si è superato per ribattere una conclusione ravvicinata, a botta sicura, di Eriksen imbeccato da un “tacco” proprio di Sanchez.
Per i padroni di casa, oltre al goal, l’unico pericolo è venuto da un pasticcio difensivo (ma guarda un po’) dell’Inter, nel primo tempo, tra Handanovič e Škriniar.
Nella ripresa solo un diagonale a lato di poco di Insigne. La partita l’ha fatta sempre l’Inter.
Buttare alle ortiche una Finale per un erroraccio da matita rossa come quello che ha originato il pareggio napoletano lascia molto amaro in bocca. La difesa a tre, con centrali del calibro di De Vrji, Škriniar e Godín, avrebbe dovuto essere il punto di forza dei nostri, invece, in questa stagione il concedere almeno una rete a partita agli avversari per una disattenzione della retroguardia sta diventando un vizio. Godín è addirittura uscito dai radar rilevato dal giovane, promettente ma acerbo, Bastoni.
Nella buona prova d’orchestra generale a steccare sono state anche le punte. Mancando all’Inter un giocatore che può risolvere da solo una gara complicata con un assist o un guizzo vincente, Conte si è affidato per mesi alla Lu-La, ossia alla coppia d’attacco Lukaku-Lautaro. Il rendimento dei due fino a metà gennaio, quando “Il Toro” è stato espulso col Cagliari, è stato di altissimo spessore. Dopo la squalifica, però, Lautaro è evaporato. Col Napoli è parso svogliato e svuotato dalle voci sempre più insistenti che lo vogliono prossimo a trasferirsi a Barcellona. Lukakau, a differenza del compagno argentino, si è dato da fare, ha sfiorato la rete di testa sbattendo sul solito Ospina, ma poi ha faticato a emergere stretto nella morsa di Maksimović e Koulibaly. Romelu, con la sua stazza, ha sicuramente bisogno di più tempo rispetto ai compagni per ritrovare la forma dopo il prolungato stop per l’emergenza.
Si può discutere dell’opportunità, da parte del mister, di insistere sulla difesa a tre che mette in evidenza i difetti di Škriniar, Godín e Bastoni, anziché esaltarne le qualità che a nostro avviso sono indubbie. Il solo De Vrji riesce ad avere un rendimento all’altezza con quel tipo di schieramento difensivo. Nella ripresa della Semifinale dello scorso 13 giugno, mandare in campo tre centrali con il Napoli che schierava praticamente il solo Mertens di punta è parso uno spreco. Meglio sarebbe stato, forse, affidarsi al 4-3-3 con due terzini a spingere sulle fasce e tre punte davanti a tentare il ribaltone. Queste osservazioni lasciano, comunque, il tempo che trovano. Desideriamo, invece, concludere la nostra riflessione ponendo l’accento sulle cause che stanno a monte dell’ennesima stagione interista da “zero tituli” che si profila all’orizzonte.
Le squadre sono vincenti o perdenti ed è noto che vincere aiuta a vincere così come perdere aiuta a perdere. Oggi l’Inter, nonostante la bravura di Conte e Marotta, è una squadra perdente così come lo è sempre stata dal 2011 in poi. Essere vincenti o perdenti in campo non dipende solo dai giocatori e dagli allenatori, ma in gran parte dalla società o, meglio, dalla proprietà della società stessa. Le aziende così come i club sportivi sono assimilabili al corpo umano che può essere tonico, reattivo e in salute finché volete, ma funziona bene solo se funziona al meglio la testa, ossia il cervello. Il cervello di un’azienda, come di un club sportivo, è rappresentato dalla proprietà. È quest’ultima che crea la mentalità vincente del suo ambiente lavorativo. La fame di vittoria nasce da chi ha in mano le redini di un club, non da un allenatore e da un dirigente pur bravi e abituati a vincere.
La proprietà interista ha voglia di vittorie? Ha fame di trofei da raggiungere a qualsiasi costo? Abbiamo dei dubbi in proposito. Se l’Inter non vincerà nulla per l’ennesimo anno, una parte del mancato successo sarà senz’altro da addebitare all’atteggiamento poco professionale assunto da Lautaro il che ci fa sorgere una domanda: perché un pezzo così pregiato del nostro organico è, in pratica, sul mercato? Perché è stato fissato fin dall’inizio della sua avventura interista il prezzo della sua cessione (ci riferiamo alla clausola di rescissione)? Come mai la nostra proprietà fatica ad acquistare giocatori un po’ avanti negli anni, ma esperti e abituati alle vittorie come da richiesta del nostro mister? Perché vuole acquistare (ovviamente dopo aver ceduto pezzi della rosa per racimolare la somma necessaria) soltanto giocatori giovani e futuribili? Ovvia la risposta: i giocatori “anziani” non generano plusvalenze, mentre quelli giovani e bravi possono generarne anche di favolose come nel caso di Lautaro. Per i proprietari dell’Inter nessun giocatore della rosa è incedibile, al giusto prezzo si cedono tranquillamente anche i più forti. Difficile vincere pensando soltanto a generare plusvalenze e ad aumentare i ricavi e contenere i costi. Evidentemente, gli scopi sono altri, vincere è un qualcosa in più perché è sufficiente entrare in Champions per avere ricavi degni di questo nome, il resto è noia.
Se non si è passato il Girone eliminatorio di Champions, se lo Scudetto è lontano e se la Coppa Italia è sfumata non è solo colpa degli arbitri (che in Campionato e in Champions lo zampino ai nostri danni l’hanno messo eccome), degli infortuni, della sfiga e di limiti tecnici e numerici della rosa. Tutto parte dalla testa che, nel caso dell’Inter, non ragiona in termini di vittoria a tutti i costi.
Non si è voluto accontentare Conte, per ragioni meramente limitate alle mancate future plusvalenze, quando chiedeva Vidal, Džeko, Alonso… Successe la stessa cosa a Mancini cui fu negato l’acquisto di Yaya Touré, giocatore forte, esperto e vincente ritenuto fondamentale dal tecnico jesino.
All’Inter manca un fuoriclasse che risolva la partita e mancano giocatori esperti, abituati a vincere, che sanno essere leader e indicare allo spogliatoio la via da seguire per arrivare alla vittoria. Chi della rosa attuale dell’Inter ha vinto trofei importanti? Chi è abituato a vincere? Ci sono soltanto giocatori abituati alla sconfitta che hanno appreso che all’Inter basta raggiungere un quarto posto in Campionato e nulla più. Ciò fa sì che quando una stagione si mette in salita e Scudetto e Coppe si allontanano la squadra si adagi e faccia il minimo indispensabile per entrare in Champions. Non c’è ambizione nei nostri giocatori. Non c’è la capacità e, forse, nemmeno la voglia di stare sul pezzo per tutti i 95’ e per tutta la stagione. Ecco perché capitano disattenzioni fatali (come quella che ha permesso al Napoli di pareggiare con Mertens) che costano goal al passivo pesanti ed ecco anche perché si sprecano occasioni clamorose sotto porta.
Nel match col Napoli, pur assistendo a una buona manovra di gioco, non abbiamo notato la cattiveria agonistica necessaria per buttare la palla nella porta avversaria, quel sacro furore di volere arrivare alla Finale di Roma. Si è attaccato sì: si sono create occasioni importanti, ma i nostri non avevano gli occhi della tigre. Il Napoli non ha rubato nulla ed è arrivato a Roma perché era più convinto dei nostri di andare in Finale e di poter vincere la Coppa. Così è accaduto. Il Napoli nelle otto stagioni che hanno preceduto l’attuale ha vinto due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana sfiorando più volte lo scudetto, oltre ad avere quasi sempre giocato la Champions. È un club con una mentalità vincente trasmessa alla squadra anche dal suo attuale tecnico che da giocatore ha vinto tutto. L’Inter non ha la stessa mentalità, è una squadra perdente nonostante la voglia di vincere di Conte e Marotta.
Si dirà che Conte è aggrappato al suo 3-5-2 come Spalletti lo era al suo 4-2-3-1. Strano che allenatori di grande e buona fama non sappiano variare lo schema tattico. A noi viene il sospetto che l’ambiente nerazzurro non metta i tecnici e i dirigenti addetti al mercato nelle migliori condizioni per lavorare (Sabatini se ne andò sbattendo la porta) e che, al contrario, trasmetta loro solo incertezze. Se una certezza c’è è quella di essere ferocemente attaccati dalla critica esterna e interna e di pagare per tutti per gli errori di tutti, non solo per i propri. In questa situazione i nostri mister cercano disperatamente certezze e si aggrappano fino all’eccesso allo schema tattico consolidato e ad alcuni giocatori, proposti sempre e comunque a prescindere dalle prestazioni, che seguono le loro direttive e che danno quella copertura che può evitare Ko che potrebbero comportare critiche aspre e l’esonero. Se constatassero che la proprietà davvero vuole vincere e che è disposta ad accontentare le loro richieste sul mercato pur di arrivare alla sospirata vittoria, probabilmente sarebbero più elastici e si assumerebbero dei rischi perché: “Chi non risica non rosica”.
Al termine di questa stagione infinita (causa la nota emergenza) l’Inter si troverà davanti a un dubbio amletico: essere o non essere un club vincente? Volere è potere recita un antico adagio. Ci vuole la volontà ferrea di essere vincenti per divenire tali. I giocatori sono come spugne che assorbono (oltre ai soldi di lauti stipendi) l’aria dell’ambiente che li circonda. Se l’aria è vincente si sentono vincenti, se l’atmosfera intorno a loro odora di sconfitta e rassegnazione alla medesima si adagiano al ruolo di comprimari destinati a perdere senza particolari rimorsi scegliendo di essere mediocri che perdono anziché Campioni che vincono.
La proprietà dell’Inter vuole, infine, essere alla testa di un club vincente?
“Essere o non essere questo è il problema”…
Problema da risolvere positivamente e in fretta, possibilmente.
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