Benito Lorenzi, “VELENO”… Con il bene di sempre

Storia

Benito Lorenzi, “VELENO”… Con il bene di sempre – A noi di hastaghinter.it  piace ricordare la storia e i momenti che per le nostre stelle sono stati salienti. 28 Settembre 1947: in una partita vinta per 6 reti a 0 contro l’Alessandria, Benito Lorenzi (20 Dicembre 1925 – 3 Marzo 2007) detto “VELENO” faceva il suo esordio con la maglia nerazzurra. Una maglia d’altri tempi, una maglia che in undici anni di carriera all’Inter lo portò a vincere 2 scudetti con il club nerazzurro giocando 314 partite. Fin da bambino fu molto vivace, da qui, per l’appunto, il soprannome attrubuitogli dalla madre. In campo si rese partecipe di molti episodi spesso goliardici che lo portarono ad avere scaramucce con parecchi avversari. Giusto per ricordare un momento che lo fece fuggire dal terreno del Meazza per evitare l’invasione di campo dei tifosi rossoneri arrabbiatissimi, il momento nel quale, per evitare che il Milan portasse a buon fine un calcio di rigore concordato dal direttore di gara Lo Bello, lui mise sul dischetto e sotto al pallone un pezzo di limone recuperato dal massaggiatore dei nerazzurri. Il rigorista di allora Tito Cucchiaroni calciò comunque e la palla finì ben lontana dalla porta, tra la rabbia dei rossoneri.
Una persona che con la fama di “cattivo in campo” non si tirava indietro quando c’era da difendere un compagno ed era in prima linea anche quando c’era disappunto nei confronti delle decisioni arbitrali.
Lorenzi partecipò anche come volontario nella Seconda Guerra Mondiale dove venne ferito.
Sempre amato dai tifosi nerazzurri ha lasciato nei cuori un gran vuoto. Oggi lo ricordiamo… Con il bene di sempre.

campionato_1953-54_-_juventus-inter_benito_lorenzi_e_giampiero_boniperti-hashtaginter-it

Ora un ricordo del nostro Direttore, Pierluigi Arcidiacono, tratto dal suo primo sull’Inter: “Vade retro Satana – Storie di una vita neroazzurra”:
Incontro con “Veleno”

Sono all’incrocio tra viale Ranzoni e via Rubens. In via Rubens c’è il nuovo bar del mio amico Romano: “Martino’s”. Ogni tanto Romano mi cambia un assegno e poi aspetta qualche giorno per versarlo in banca. È un modo gentile di aiutare uno come me che, scrivendo, passo lunghi periodi in cui alla fase creativa corrisponde quella di un conto corrente vicino alla retrocessione in serie B. Un anziano signore sta litigando con due cabine telefoniche. Entra nella prima, poi esce ed entra nella seconda, poi torna ancora nella prima e infine esce incredulo, parlando da solo. Questa scena è proprio il trionfo di come la nostra vita si stia davvero allontanando da ogni più elementare principio umano e anche logico. Quel signore non può telefonare. Non può perché non ci sono le fessure per le monete. Un tempo, quando un militare di leva usciva quelle poche ore la sera, doveva avere con sé un gettone, così, se si fosse trovato in difficoltà, avrebbe potuto chiamare da una cabina e chiedere aiuto o, in ogni caso, avvisare di un eventuale ritardo. Un gettone. Duecento lire. Dieci centesimi di oggi e a quel gettone si affidava la sicurezza di un soldato, di un uomo, di un ragazzo. Sembra ridicolo eppure anch’io, quand’ero a Fossano nei primi tre mesi del mio servizio militare, con quel piccolo pezzo di metallo in tasca, stavo più tranquillo. Forse perché davvero sapevo che se mi fossi trovato in difficoltà avrei potuto telefonare.
Oggi? Oggi no, ci vuole una scheda, altro che dieci centesimi, manco mille lire. Siamo in in un’era in cui è nella difficoltà che si legge la nostra inciviltà. Ricordo un episodio: due ragazzi in moto avevano rapinato un signore, gli avevano preso tutto: l’auto, il portafogli, l’orologio… poi erano andati via, uno sulla macchina e l’altro sulla motocicletta, abbandonandolo in quella strada isolata. Il signore li aveva pregati di non lasciarlo lì, non aveva fatto resistenza né per l’automobile, né per tutto il resto, ma continuava a dire: “Mio figlio e mia moglie mi aspettano”. Passarono pochi minuti e uno dei due rapinatori (quello con la moto) tornò indietro: “Tenga!”, disse rivolto al signore rapinato e porgendogli un gettone. “A dieci minuti da qui c’è una cabina e funziona, ho controllato” e poi si dileguò nel buio. Al di là delle considerazioni sul gettone e sui telefoni pubblici vi sono altri due particolari da notare: gli diede del lei e disse “funziona”. La cabina funzionava. Oggi ci sono telecamere anche nei water, policeman dappertutto con variopinte divise che controllano ogni angolo, eppure molti telefoni pubblici sono danneggiati, non solo nelle periferie, ma anche in metropolitana e in corso Vittorio Emanuele, a due passi dal Duomo.
Il mio signore anziano, dunque, stava litigando con quelle due cabine telefoniche. Il suo sguardo, però, era più allibito che arrabbiato. Come se si trovasse su un altro pianeta. Si stava certo chiedendo come era possibile che non vi fossero le fessure per inserire le monete. Va bene la scheda, ma se si deve fare una sola telefonata? Mi avvicinai e accadde una di quelle cose che ti danno un po’ di carica quando sei stanco e affaticato (e nel mio caso, anche con pochi soldi in tasca). Uno di quegli episodi in cui alcuni vedono un segno e altri come me trovano un minimo di serenità e sentono una leggera spinta, come quando, dopo aver camminato per ore e ore su un sentiero faticoso, ti appare la vetta e allora capisci che sei sul sentiero giusto.
“Ha bisogno di qualcosa?”, chiesi al signore anziano. “Oh! Guardi! Che gentile – rispose con velato accento toscano – Mi sa dire come funziona questo dannato arnese?” “Senza scheda non si può telefonare…” “E allora uno come fa?” Io avevo appena cambiato l’assegno da Romano e quindi avevo appena ricaricato il mio cellulare: “Se vuole può chiamare dal mio telefono”.
Dopo aver chiamato il signore volle presentarsi quasi a garanzia di quella telefonata: “Grazie, grazie, lei è stato veramente gentile. Sa, io sono un ex giocatore dell’Inter – disse – Di tanto tempo fa”, aggiunse quasi scusandosi, ma io l’avevo già riconosciuto. “Mi chiamo Benito, Benito Lorenzi.” Era uno degli idoli di gioventù di mio papà. “Che bello se fosse qui”, pensai; ma mi ero distratto, perché papà era lì, guardava il suo Veleno negli occhi ricordando i tanti goal, e come noi era un po’ arrabbiato per via delle fessure delle monetine.

bentito_lorenzi_nazionale_italiana_hashtaginter-it

Roberta Santoro
Roberta Santoro
Roberta Santoro, dottoressa in Scienza dello Sport è specializzata in Marketing Organizzazione e Sociologia dello Sport. Attualmente svolge la professione di Personal Trainer. Da bambina praticava l’Atletica Leggera correndo i 100 metri, ma i suoi tempi non erano dare record e, quindi, si è diplomata in pianoforte presso il Conservatorio di Como. Appassionata di Calcio si è dedicata anche all’arbitraggio di questo sport. Ama il Calcio e naturalmente è interista.