Al Burussia Park l’Inter doveva dare una risposta alla domanda “Essere o non essere una grande squadra?”. La risposta dei ragazzi di Conte sul campo è stata perentoria: l’Inter è una grande squadra perché solo una formazione che è tale poteva ribellarsi al destino che la voleva precocemente e mestamente eliminata dalla massima competizione continentale superando, con una grande prova di forza e carattere, un’ottima formazione quale è il Borussia.
Il 3 a 2 finale con cui l’Inter ha battuto il team di Mönchengladbach non rende giustizia alla truppa contiana che ha controllato con autorità il match per tre quarti della sua durata trascinata da un superlativo Lukaku che ha confermato, in ossequio al suo nomignolo “Big Rom”, di essere davvero un “Big”.
Conte ha optato per un Inter formato Sassuolo ossia con un centrocampo solido, senza fronzoli, ma soprattutto senza il trequartista. Rispetto alla sfida con i neroverdi il mister ha potuto schierare Brozović in regia impiegando Barella nel suo abituale ruolo di mezzala destra con Gagliardini a svolgere i compiti di interno sinistro. Con il croato in regia la manovra è risultata fluida così come è stata efficace la copertura assicurata da Barella e Gagliardini alla difesa. L’attenzione alla copertura ha caratterizzato le sfide vinte con Sassuolo e Borussia, attenzione a non farsi prendere d’infilata che non si era notata in questo tormentato inizio di stagione. Il pressing nerazzurro si è attestato poco oltre la metà campo con l’intento di non lasciare varchi agli avversari stringendo le linee dei reparti. Il Borussia si è trovato con l’arma delle ripartenze disinnescata a differenza di quanto accaduto al Meazza all’andata e esattamente come accaduto al Sassuolo pochi giorni prima.
L’Inter ha così dominato la prima mezzora della sfida con gli uomini di Rose sfiorando il vantaggio già dopo 6’ con Lautaro per poi bucare Sommer al 17’ con un potente destro di Darmian. L’esterno nerazzurro ha finalizzato una bella azione iniziata con un intercetto di Brozović, poi proseguita con un tocco volante di Lukaku per Gagliardini che ha servito l’assist decisivo. I padroni di casa non sono riusciti a penetrare le maglie nerazzurre con Stindl, soffocato nell’impostaazione dell’azione dai rientri delle punte interista. “Big Rom” Lukaku, in serata di grazia, ha messo sul piedi di Lautaro un pallone d’oro per il raddoppio che “Il Toro” ha sprecato.
Quando la lancetta del cronometro ha scavallato la mezzora, l’Inter ha mollato la presa per rifiatare e prendere ossigeno. Giocare gare importanti ogni 3 giorni lascia un conto a polmoni, muscoli e mente che bisogna pur pagare. In questa fase sono emerse le difficoltà che da qualche tempo attanagliano Young preso in mezzo dalla verve di Lazaro (ex Inter) e Lainer che prendevano pericolose iniziative sulla catena di destra teutonica. Anche Thuram, dal lato opposto, mostrava buone doti di palleggio che con l’arredamento della linea mediana interista creavano qualche apprensione a Barella e soci. Due interventi di Handanovič, di cui il secondo decisivo a deviare la traiettoria del pallone indirizzato sul palo lontano da Plea, suonavano da campanello d’allarme a mister Conte. Infatti, in pieno recupero il Borussia ha agguantato il pari. Da una rimessa laterale sul fronte sinistro della difesa nerazzurra, Lazaro ha crossato in mezzo trovando la capocciata vincente del solitario Plea. Da matita rossa l’errore di Škriniar, fin lì puntuale nelle chiusure, che è scattato a fianco della punta avversaria per poi farsi attrarre dalla palla e perdere la marcatura. A pochi istanti dalla pausa, incassare il pareggio dopo aver dominato buona parte della frazione è stata una bella mazzata così nello spogliatoio interista si è riposto il quesito: “Essere o non essere un grande team?”
La risposta della truppa è stata chiara e forte alla ripresa delle ostilità. Guidati da “Big Rom” i nerazzurri hanno alzato il livello del pressing togliendo punti di riferimento e linee di passaggio ai padroni di casa. Ogni ripartenza meneghina trovava in Lukaku un approdo certo e un faro per lo sviluppo della manovra offensiva. Attorno al quarto d’ora Romelu ha invitato alla conclusione Lautaro che ha centrato il palo con Sommer impietrito. Un paio di minuti più tardi Brozović e Gagliardini sono andati in pressione su Stindl soffiandogli la sfera che il croato ha imbucato subito in verticale per “Big Rom”, il centravanti belga ha spostato di spalla il malcapitato Zakaria (mandato in campo da Rose, in avvio di ripresa, proprio per contenerlo) e ha fulminato Sommer con un preciso diagonale. Il gigante non si è placato e ha replicato poco dopo sfruttando al meglio un assist di Hakimi (subentrato all’ottimo Darmian) a sua volta assistito da Sánchez (entrato per “Il Toro” Martínez). Match apparentemente in ghiaccio, ma essere l’Inter vuol dire conservare un dna di sofferenza pronto a esplodere, così la partita si è riaperta 2’ dopo con Plea che ha usufruito di un omaggio di Sánchez e ha spedito la palla alle spalle di Handanovič per la seconda volta.
Il colpo ha incrinato le certezze interiste causando un eccessivo arretramento della mediana ospite, il Borussia ne ha approfittato e ha trovato l’insperato pareggio al 33’, in mischia, ancora con Plea. Bingo? No perché una volta tanto il VAR ha fatto giustizia negando la gioia della tripletta personale all’attaccante e il 3 a 3 al Borussia. Le telecamere hanno pizzicato Embolo, piazzato proprio davanti a Handanovič, in offside attivo. L’Inter ha ripreso vigore e ha difeso con i denti la preziosa vittoria dopo aver sciupato l’opportunità di fare poker quando “Big Rom”, in posizione irregolare, ha anticipato Bastoni togliendogli la possibilità di calciare a botta sicura da pochi passi.
Il successo di Mönchengladbach ha riacceso le speranze di qualificazione agli Ottavi di Champions dell’Inter che vi approderebbe sommando, nell’ultimo turno, la sua eventuale vittoria sullo Shahktar alla vittoria di Real o Borussia nell’altro match del Girone B. In caso di parità fra quest’ultime Handa e soci accederebbero ai 16mi di Europa League.
Il ribaltone è tutto da costruire, ma è possibile alla faccia di chi aveva già intonato il “De profundis” a Conte e all’Inter soltanto una settimana prima. “Eh già, io sono ancora qua” canterebbe Vasco Rossi, noto fan interista, se fosse al posto di Antonio Conte così pesantemente attaccato da Media e da una parte della tifoseria, dopo il Ko subito dal Real a San Siro.
Purtroppo, si è confermato che a complicare il lavoro all’Inter del tecnico di turno non è tanto “Il rumore dei nemici”, ma il fuoco amico. Fuoco ingiustificato, provocato unicamente dall’odio che cova in falsi supporters che non perdonano a Conte il suo passato bianconero. Per colpirlo hanno sparato ad alzo zero su Vidal e Kolarov che hanno firmato, con errori individuali, rispettivamente i Ko con i “Blancos” al Meazza e nel derby. Non importa che punti preziosi siano stati lasciati per strada in Campionato e in Coppa a causa di errori di altri giocatori e per clamorose sviste arbitrali. Se, ad esempio, a sbagliare sono Hakimi (nel match di andata con il Real) e Barella (autore dell’ingenuo fallo che ha provocato il penalty con cui i “Blancos” sono passati in vantaggio a San Siro) la fazione anti Conte della tifoseria nerazzurra si fodera gli occhi di prosciutto e glissa. Perché? Perché non sono identificati come pupilli del mister come lo sono, a loro avviso, Vidal e Kolarov da Conte, si suppone, fortemente voluti in sede di mercato.
Non ci siamo. I pregiudizi e gli atteggiamenti da haters non portano trofei in bacheca, ma per qualcuno è più importante il siluramento di Conte piuttosto che vincere con lui in panchina un trofeo dopo anni di digiuno.
Qui si ripropone il dilemma: “Essere o non essere?”, “Essere o non essere veri tifosi interisti?” Lo stesso quesito che deve porsi la società, ovvero: “Essere o non essere un grande club?”. Un grande club è tale quando sceglie un tecnico per costruire un ciclo vincente, lo difende, gli concede fiducia incondizionata (fino a fine stagione per poi a bocce ferme analizzare i risultati ottenuti) e raccoglie i suoi suggerimenti riguardo le operazioni di mercato. La dichiarazione del presidente Zhang che ha affermato che Conte è il leader dell’Inter e quella, successiva, di Marotta che ha ammesso che l’acquisto di Eriksen non è stato funzionale al progetto tecnico nerazzurro vanno nella giusta direzione. La Curva Nord, a sua volta, con uno striscione aveva sferzato la squadra non il mister già da lei difeso al termine della passata stagione. La squadra ha risposto alla grande rullando il Sassuolo, agganciato al secondo posto in Campionato, e battendo con merito il Mönchengladbach riaprendo i giochi di qualificazione in Champions. Il gruppo, piaccia o meno, sta con Conte che può aver sbagliato qualcosa (nessuno è infallibile), ma che ha avuto ed ha grandi pregi e grandi meriti. Certamente, non può essere soltanto il mister ad avere la chiave della soluzione di tutti i problemi come lui stesso ha dichiarato davanti ai microfoni. Non è solo lui l’Inter. Ognuno deve fare la sua parte.
Davanti a Conte e ai suoi ragazzi il percorso in Campionato e in Coppa si presenta a ostacoli che potranno essere superati se tutte le componenti (proprietà, dirigenza, tifoseria, squadra e tecnico) formeranno un granitico tutt’uno. Se gli ostacoli diventeranno troppo alti la stagione risulterà inevitabilmente un fallimento, ma sarà il fallimento di tutte le componenti interiste, non del solo Conte. Essere o non essere degni della storia dell’Inter? Essere o non essere interisti veri? Essere o non essere vincenti? Essere o non essere un grande club? Ognuno si dia le risposte.
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