Di quella sera a Barcellona ricordo bene lo sguardo del mio Capitano, Javier Zanetti.
Desiderai rimanere solo in casa, nel salotto di mio padre, anche se lui non c’era più da molti anni. Mamma a letto obbligatoriamente, figlio con i suoi amici a vedere la partita da qualche parte. Finestre chiuse.
Tutti fuori dalla mia vita. Voglio rimanere solo: solo con la mia Inter.
Lo spiego ai più giovani: era il 28 aprile del 2010, a Barcellona si giocava la Semifinale di Champions League: Barcellona-Inter.
Noi avevamo vinto all’andata 3 a 1, dopo che i Blaugrana erano andati in vantaggio.
Nei giorni precedenti all’ultima sfida i giocatori del Barcellona si erano prestati a una esibizione indegna di uomini: spot video in cui dichiaravano che ci avrebbero fatto pentire di aver scelto di giocare a Calcio e altre sfide da bulli simili.
Loro volevano compere la “remuntada”…
L’Inter si concentrò sullo sguardo fiero del proprio Capitano: Javier Zanetti.
L’Inter perse, ma andò in Finale.
Finita la partita aprii le finestre e liberai l’urlo di un leone, piangendo e guardando il cielo.
Intanto, Mourinho, il nostro allenatore, in televisione, disse che loro avevano fatto il proprio dovere e che i tifosi rimasti a Milano, ora, avevano il dovere di andare ad accogliere la squadra all’aeroporto. Era un genio.
Chiamai mio figlio, lo passai a prendere, e ci recammo all’Aeroporto di Malpensa.
Trovammo un Oceano nerazzurro, si dovette parcheggiare lontano e giungere a piedi all’ingresso dell’aeroporto.
L’esaltazione era alle stelle.
Io ricordo, di quegli anni, lo sguardo del mio Capitano.
DI PADRE IN FIGLIO…