Sì, ci siamo abituati. Soffrire è nel nostro DNA: i tifosi nerazzurri più longevi lo sanno bene, mentre quelli più giovani – come me – hanno già potuto assaporare quella sensazione di cui voglio parlarvi.
Quando si parla di questa condizione emotiva (ovviamente legata al Calcio, le cose veramente importanti sono altre) mi viene subito in mente la partita di sofferenza per eccellenza: 28 Aprile 2010, un anno carissimo a noi tutti.
In 10 uomini per più di un’ora in quel di Barcellona, con i “Blaugrana” che spingevano e ci provavano in continuazione; ma uscimmo vincitori. Chissà quante magliette sudate a casa, sul divano. Bellissimo.
Non vincere la Coppa dei Campioni per 45 anni dev’essere stata dura per chi li ha vissuti tutti, conditi amaramente da due finali perse, contro Celtic (nel 1967) e Ajax(nel 1972).
Nel Belpaese ricordiamo spiacevolmente le sconfitte più eclatanti, o le annate più deludenti: negli ultimi 27 anni gli ottavi posti dei Campionati 1991/92, 1998/99, 2014/15 e il nono posto del Campionato 2012/13.
Il fattore negativo ma in un certo senso romantico, è che quasi ogni anno ci sono partite o addirittura periodi, in cui tutti i tifosi assistono inermi a delle squadre sprecare molto, seppur con un grosso potenziale. Tutto questo sembra accadere per ragioni quasi inspiegabili. Bene o male, però ci si rialza sempre.
Ed è tutto questo che ci rendi diversi, speciali. Perché non c’è vittoria senza sacrificio, non c’è gloria senza sofferenza. Chiedetelo a Javier Zanetti, confermerà le mie parole.
(La fotografia in apertura è di Armando Bottelli)
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