Il Calcio dei ricchi

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“Il Calcio è cambiato”… ce lo sentiamo ripetere da anni, ormai, anche se non è ben chiaro in che modo, visto che da più di un secolo si gioca 11 contro 11 in un campo di grandezza ben definita, secondo regole rimaste per lo più inalterate. A spiegarci “IL CALCIO DEI RICCHI” (Baldini Castoldi Dalai editore – 2012) ci pensa Mario Sconcerti, già Direttore del “Corriere dello Sport” e opinionista di Sky.

Nel domandarsi se “si potrà più vincere senza spendere un tesoro?”, l’Autore ci conduce in uno scenario in cui il denaro è condizione indispensabile (ma, attenzione, non sufficiente!) per ambire ai traguardi più importanti e, a maggior ragione, per conquistarli. A supporto di questa tesi vengono riportate cifre ufficiali, tracciando anche un confronto con il passato, senza tuttavia mai scadere nel “nostalgico”.

Dalle prime radiocronache di Nicolò Carosio, quando per la maggioranza degli appassionati la partita era quella raccontata dalla voce gracchiante della radio, allo “spezzatino” di oggi in cui ogni azione di ogni gara viene vista, rivista e vivisezionata da angolazioni diverse. In questo modo, secondo Sconcerti, si è trasformato l’ascoltatore in telespettatore, offrendogli la possibilità di incrementare la sua conoscenza della materia Calcio fino a raggiungere livelli di competenza paragonabili, o addirittura superiori, agli stessi giornalisti che pure lo fanno di mestiere.

Dall’ingresso sempre più prepotente delle televisioni all’immissione sul mercato di capitali apparentemente illimitati da parte di petrolieri e sceicchi, allettati dalla visibilità prodotta da un fenomeno sempre più globale, il passo è stato breve. Ed ecco quindi esplodere i Chelsea, i Paris Saint Germain e altre superpotenze che attraverso la dittatura finanziaria hanno reso e stanno rendendo sempre più elitario il club delle pretendenti agli allori internazionali. Forse un giorno neanche troppo lontano si arriverà a disputare una competizione continentale riservata alle squadre di club, le cui partecipanti usciranno dai vari Campionati nazionali ridotti a tornei di qualificazione riservati a compagini di seconda fascia o aspiranti grandi.  Inter, Juventus e Milan (ad esempio) non parteciperebbero al Campionato nazionale. Sarebbe un’impressionante iniezione di denaro fresco, utile a ridurre la portata dei debiti sempre più onerosi, a cui forse neanche il fair play finanziario riuscirà a porre un freno, ma che fanno parte a tutti gli effetti del meccanismo che rende il Calcio uno sport, o meglio uno spettacolo, seguito dai tifosi e ambito dagli affaristi di tutto il mondo.

Tornando entro i nostri confini, il rovescio della medaglia è dato dalla perdita di spontaneità dovuta alla “standardizzazione” del movimento, caratterizzata da Scuole Calcio che crescono giovani talentuosi e altri meno dotati come fossero polli d’allevamento, cercando di livellarne le qualità anziché operare una selezione. Del resto è giusto così: tutti pagano la stessa quota di iscrizione e tutti hanno diritto a giocare lo stesso numero di minuti. Così facendo, però, si rimanda la maturazione a quando si entra nei settori giovanili delle società professionistiche e non sempre gli allenatori sono in grado di recuperare le doti innate soffocate da anni di tatticismi e schemi disegnati alla lavagna in luogo di esercizi volti a migliorare i fondamentali. Vedremo mai sui nostri campi altri Del Piero, Pirlo, Totti?  E noi ci mettiamo anche: Corso e Beccalossi… Sandro Mazzola, uno che di piedi buoni se ne intende, racconta che alla vigilia di un derby giovanile il suo mister radunò la squadra e la caricò con queste parole: “Nella mia carriera ho un solo rimpianto: avere giocato otto mesi nel Milan. Vorrei che oggi voi lo cancellaste”. E la giovane Inter lo cancellò. Quell’allenatore si chiamava Giuseppe Meazza. Sembra un altro mondo e forse lo era…