Se esiste un “Dio del pallone” (come alcuni sostengono), Egli si è mostrato nell’ultimo mese: il 18 dicembre del Ventidue, a Dubai, nella Finale di Coppa del Mondo, dove il titolo è stato conquistato all’Argentina, la squadra che ne era più degna, e, ancora, ieri, a Riad (sempre il 18 del mese, ma di gennaio dell’anno nuovo) data in cui la Supercoppa Italiana, anche in questo caso, è stata vinta dalla compagine che era giusto che la vincesse.
Dal bianco e celeste al neroazzurro e nelle due compagini un ragazzo di cui tutti parlano, ma che pochi conoscono: Lautaro Javier Martínez.
Lautaro, sì. Martínez, sì. Ma anche Javier… E in questo nome c’è tutto un programma, che, forse, è dettato proprio da quel “Dio del pallone” cui facevamo riferimento.
Pronti via e cala il silenzio, perlomeno dalle parti del Naviglio rossonero. Sì, dopo la steccata di #FedericoDimarco al decimo minuto, qualcosina hanno fatto, ma nei loro volti, quelli dei giocatori della seconda squadra di Milano, c’era già un presagio. Presagio che si è concretizzato al minuti 21 del primo tempo, con un’altra steccata, questa volta di #EdinDžeko. Ma non era vecchio?
E così, si va al riposo.
Lui era lì che sbuffava dalle narici, guardava la porta, cercava il pallone, lo attraeva con lo sguardo… E così, al 77° (quando i soliti tifosi interisti, non tutti, però…) dicevano, aspettiamo a parlare, Lautaro, come si suol dire: l’ha chiusa.
Il classico risultato che sigla la predominanza di una delle due compagini sull’altra. Il classico risultato che viene abbinato a un frutto dolce autunnale: tre pere e Milano siamo noi.
Abbiamo finito? No di certo, perché ora: Giù il cappello. Rispetto per l’allenatore dell’Inter che festeggia la su quarta Supercoppa vinta, questa volta con l’Inter, per la seconda volta consecutiva, come già aveva fatto con la #Lazio (nel 2018 e nel 2019).
Forse per #SimoneInzaghi ci vorrebbe più rispetto, specialmente da parte di molti settori dello stadio di San Siro.
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